Per le migliaia di lavoratori birmani che hanno scelto di lasciare la propria casa per cercare un lavoro lontano dai confini del Myanmar, la Corea del Sud è una delle destinazioni più popolari: un simbolo di speranza per il loro futuro. La transizione pacifica della Corea dalla dittatura militare alla democrazia, insieme a un boom economico senza precedenti, li convince che la Corea è la meta più felice per l'accoglienza. D’altra parte, i due Paesi potrebbero condividere una storia recente molto simile.

Quando questi lavoratori sono entrati in Corea, tuttavia, si sono scontrati con una forte discriminazione da parte della popolazione coreana e con un atteggiamento scorretto dei loro datori di lavoro, che sono arrivati a compiere abusi contro i loro diritti umani. A differenza dei loro colleghi provenienti da altre nazioni del Sud-Est asiatico, i lavoratori birmani hanno dovuto scegliere fra rimanere in Corea (sottoposti a condizioni di lavoro estremamente sfavorevoli) o ritornare alla dittatura militare e all’altissima disoccupazione del Myanmar.

Moltissimi di loro hanno deciso di rimanere e hanno chiesto asilo politico, iniziando nel frattempo a collaborare in maniera attiva al lavoro di gruppi pro-democrazia come il Democratic Voice of Burma e il Burma Action Korea. Questo si spiega col fatto che il governo coreano – storicamente poco attento alla questione degli immigrati – garantisce molto più facilmente l’asilo politico che la cittadinanza per motivi di lavoro. I richiedenti birmani vantano un tasso di approvazione dei permessi pari al 42 %, molto più della media che si aggira intorno al 10 %.

Allo stesso tempo i lavoratori birmani hanno iniziato a impegnarsi per ottenere migliori condizioni lavorative e più diritti per gli operai stranieri, soprattutto attraverso gruppi per i diritti dei lavoratori come il Migrant Workers’ Television (MwTv). Anche se moltissimi leader del Sindacato degli immigrati sono stati deportati, per i birmani la situazione è stata migliore: dato che hanno ottenuto l’asilo politico hanno potuto mantenere la loro leadership nel campo sindacale. Tuttavia, rimangono ancora centinaia di birmani che restano nel Paese in maniera illegale a causa delle restrittive leggi per l’impiego applicate dai coreani.

Prima che venisse istituito l’Eps, l’unico modo per i lavoratori birmani di entrare in maniera legale in Corea del Sud era quello di usare dei trafficanti locali. Ma questi erano praticamente sempre affiliati al governo birmano, e chiedevano compensi astronomici. Altri lavoratori decidevano invece di rinunciare al visto, lavorando come illegali. In teoria, l’Eps ha permesso un sistema più democratico: a chi passa il test Klt (quello sulla lingua coreana) è permesso lavorare nel Paese.

Il sito internet del ministero dell’Occupazione e del Lavoro ha annunciato in maniera orgogliosa che l’Eps per i lavoratori stranieri è arrivato al primo posto nel Premio per i Servizi pubblici delle Nazioni Unite “in riconoscimento per il sistema di reclutamento più onesto, trasparente e vicino alla causa dei migranti”. E il sistema, iniziato nel 2007/2008 anche per i birmani, è davvero un modello di successo per quanto riguarda il modo di reclutare lavoratori; ma manca di finezza per quanto riguarda le condizioni di lavoro e i contratti.

2011.08.11 AsiaNews.it